Roma, il PD e la Città.

Possiamo fare tutte le analisi che vogliamo. Possiamo impiegarci giorni, addirittura mesi. Possiamo analizzare numeri e dati. Il punto di arrivo sarà sempre lo stesso: il partito democratico ha perso le elezioni amministrative. Roma, Torino sono i casi più eclatanti, 19 ballottaggi su 20 vanno al movimento 5 stelle. Non abbiamo bisogno di cercare un capro espiatorio, faremmo male (ulteriormente) a noi stessi. Perché se di analisi e confronto abbiamo bisogno, è pur vero che partire dagli ultimi mesi non basta. Non basta partire da Mafia Capitale o dalla caduta del Sindaco Marino, così come non serve far riferimento solo all’ultima campagna elettorale.

Sono anni che nel partito democratico romano non si discute apertamente di quale sia la funzione del partito, di cosa davvero deve essere per la città, quale ruolo e cosa debbano essere i circoli. In più, sono anni che parliamo di classe dirigente senza averla mai costruita. Abbiamo smesso anni fa, dopo aver sottovalutato il campanello d’allarme della sconfitta del 2008, senza trovare una sede di discussione vera in quella occasione e abbiamo iniziato a occuparci di altro: tessere, congressi, riposizionamenti. Abbiamo smesso di pensare la città e di parlare alla città. Il Pd ha smesso di occuparsi dei problemi reali e, tira tira, la corda alla fine si è spezzata. Il distacco dal mondo reale è abissale. I cittadini lo hanno percepito prima di noi e ci hanno inviato, con le ultime elezioni amministrative, un segnale forte e chiaro.

Passiamo dal primo turno del 2006 con 922.000 voti al primo turno del 2016 con 320.000. Abbiamo vinto le amministrative del 2013 senza comprendere quale città avevamo davanti, senza averla osservata, senza aver comunicato cosa stavamo facendo, senza discutere le decisioni più importanti. E mentre, quasi per inerzia amministravamo, pezzi importanti del nostro partito sono rimasti invischiati in affari criminosi, che hanno danneggiato tutti, gettando nel calderone un intero partito che poco tempo prima aveva avuto l’opportunità di fare del bene per l’intera città.

Roma è ormai una città disfatta, non a misura di nessuno, divisa in due. Parlare solo di “centro” e “periferia” rischia di rendere troppo banale il concetto: non è una questione solo geografica, si tratta di recuperare, accorciare, eliminare diseguaglianze che vengono percepite sempre di più. Diseguaglianze e distanze considerate non solo economiche e di censo, ma soprattutto sociali, culturali e di opportunità. Va ricucito quel solco che si è creato tra la città “che può permettersi” una vita abbastanza dignitosa con quella che non può farlo. Questo è il compito di un grande partito, che analizza, comprende i problemi delle persone e tenta di risolverli. Operazioni spot non servono; occorre, invece, ripensare completamente il nostro ruolo a tutti i livelli per far sì che quanto si fa nelle sedi istituzionali sia percepito come funzionale.

Ripartire quindi. Bene, ma da dove? Da noi, dagli eletti, dai circoli, dai militanti. Da tutti assieme, senza distinzioni. Si dice non dalle correnti, sciogliamole! Bene, se è vero che le correnti in questo partito hanno lavorato indefessamente in questi anni e forse qualche problema lo hanno creato, quasi a volte sostituendosi agli organismi dirigenti di cui ci eravamo dotati, è altrettanto vero che il dibattito sulla loro fine lo facciamo dallo stesso tempo, senza conseguire risultati. Forse da qui dovremmo ripartire. Senza dietrologie, senza fraintendimenti, senza illazioni. Anche io sono figlia di una storia, ho i miei riferimenti, ho le mie idee e ho tentato di rappresentarle in ogni luogo. Ma se vogliamo davvero ripartire, occorre che tutti siano disposti a fare questo passo, perché nessun protagonista delle ultime stagioni politiche ha mai pensato però di essere realmente conseguente alle cose che affermava, da un blog, da una intervista, da un profilo social. Questa è la prima cosa che onestamente dobbiamo dirci.

Serve un partito democratico presente. Non con sedi fisiche che si aprono solo per il tesseramento o per il congresso. Un partito che torni a essere presente nei luoghi che da tempo abbiamo abbandonato. Serve dedicare dialogo e tempo. Verremo respinti, come capitato anche ad alcuni nell’ultima campagna elettorale, probabilmente verremo anche derisi con fare caricaturale. Sarà un esercizio faticoso, certamente, ma necessario, se abbiamo l’aspirazione di tornare al governo della città, rappresentandone bisogni, problemi, interessi e opportunità.

Serve un partito democratico che riorganizzi sui territori le sue forze e che produca atti concreti e costruttivi per l’opposizione al movimento 5 stelle. Di municipio in municipio, fino al Comune, opposizione non di facciata, ma ampiamente costruttiva per il bene di Roma. Il M5S vince con il 67% dei consensi al secondo turno. Ha un’autostrada a quattro corsie davanti a sé, dovrà essere in grado di intercettare realmente i bisogni di questa Roma disamorata e smembrata e di dare risposte concrete. Tornare a occuparsi dei temi significa principalmente questo. Dotiamoci di un osservatorio e di un ufficio di studi permanente, che si occupi di Roma, della qualità della vita di tutti i suoi cittadini, che analizzi soglie di povertà, redditi, lavoro, opportunità. Che possa essere strumento utile ai circoli territoriali per analizzare i quartieri limitrofi e alle aule istituzionali per organizzare una sapiente opposizione.

Serve un partito democratico forte, plurale, ma con obiettivi comuni. È francamente stucchevole continuare a parlare tra di noi dividendo la base dagli eletti, i buoni dai cattivi; è altresì inutile continuare a ragionare di questioni che, al di fuori delle nostre assemblee, nessuno reputa come rilevanti. Tutte le manifestazioni (autoconvocate o meno) sono importanti, arricchiscono il dibattito, seppur in un momento di commissariamento. Ma continuiamo a parlare alla nostra pancia piuttosto che fuori da noi, e forse anche per questo abbiamo perso così clamorosamente. Non è appassionante l’opinione che si ha dei sub-commissari municipali (con tutto il rispetto per loro che stanno dedicando tempo alla causa!). Nessuno fuori dai nostri consessi si chiede chi siano e, aggiungo (non me ne vogliano), meno male!

Il commissariamento, con i suoi limiti e le opportunità che ci ha dato, finirà prima o poi. Ha risolto tutti i nostri problemi? Magari. Affronteremo un congresso e quella sarà l’occasione per districarci in questa grande matassa. Ma se non partiremo da cose certe tutti assieme, potremo fare altri cento congressi, cento assemblee, cento riunioni, ma a nulla serviranno e continueremo a non aver capito come siamo arrivati al nostro punto più basso.

 

[Riflessione pubblicata su HuffingtonPost]

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