Oggi in Aula Giulio Cesare, per la prima seduta del nuovo anno, arriva la proposta di modifica dello Statuto di Roma Capitale redatta dal Movimento 5 Stelle. Poco importa se la città è sommersa dai rifiuti in ogni angolo e che tutti i campanelli di allarme suonano in questa direzione. Poco importa se il Partito Democratico ha presentato una richiesta di consiglio straordinario su questo tema per chiedere alla Sindaca Raggi, all’Assessora Montanari e alla Giunta, di riferire in Assemblea Capitolina su cosa davvero stia accadendo in città. La priorità oggi è questa: modificare la carta fondamentale di tutti i romani, alla grillo-maniera.
Ma entriamo nel merito. Le “straordinarie” modifiche che vengono messe in campo, oltre a contarsi sulle dita di una mano, vorrebbero introdurre principi poco chiari sia in termini di democrazia partecipativa sia sul tema della democrazia paritaria e delle politiche di genere riportano indietro Roma di anni, vanificando il lavoro e le conquiste di tanti uomini e donne.
Nel dettaglio, il nuovo articolo 10 dello Statuto che vogliono approvare, per intenderci quello che disciplina i “Referendum” inserisce una serie di nuovi principi, tra cui, quello a mio parere più assurdo, della “controproposta di referendum”: sostanzialmente, viene scritto, l’assemblea capitolina può decidere di presentare una controproposta al quesito referendario (su cui si raccolgono firme, si formano comitati, si spendono soldi…) e gli elettori vengono quindi chiamati nelle urne a votare contestualmente su due proposte. Mi domando se i consiglieri grillini vogliano applicare le “regole” interne del Sacro Blog anche allo statuto di Roma Capitale. Ad ora questa è la sensazione.
Per non parlare di quanto scrivono in termini di promozione concreta delle pari opportunità. Rispetto alla bozza iniziale, anche a seguito delle polemiche a mezzo stampa intercorse tra PD e M5S, nell’ultima hanno recepito la legge Delrio (n.56/2014) che tra le altre cose disciplina in termini di rappresenta di genere. Su questo tema, però, non ci facciamo dare lezioni da nessuno. Conosciamo bene l’argomento e sappiamo quanto storicamente la legge non sia stata molto rispettata, direi disattesa. La cancellazione delle parole dall’attuale statuto “di norma in pari numero” nella composizione delle giunte comunale e municipali è quindi da ritenersi un passo indietro. Così sarà possibile tenersi del tutto le mani libere rispetto a qualsiasi impegno di rappresentanza. Lo ripeto ogni volta, magari ci fossero giunte con una presenza femminile al 60%.
Come appare un ulteriore passo indietro la modifica della “commissione delle elette” in “commissione pari opportunità”, modifica non solo nei termini ma anche nei fatti, declassandola a una delle tante commissioni con frequenza di tutti i consiglieri eletti.
La commissione delle elette non è il recinto delle “quote rose”, delle donne elette, dove ci raccontiamo come si fa l’uncinetto o come si innaffia una pianta. La commissione delle elette è un luogo politico, che serve a dare una visione di genere alle politiche di chi amministra una città. Ha un senso molto profondo, soprattutto in questi tempi in cui le donne devono conciliare sempre di più il lavoro di mamme e la loro carriera o sempre più spesso devono decidere tra la maternità e la carriera.
Non basta avere tante donne elette, addirittura la prima sindaca della Capitale del Paese, se su questi argomenti non si è cristallini o peggio si è impreparati. Per questo il Partito Democratico ha preparato alcuni emendamenti e ne discuterà in Aula, chiedendo soprattutto chiarezza e opportunità vere per le donne di questa città. A questo serve avere tante elette donne, non a metterle su un elenco, a rivendicare risultati che poi nelle sedi opportune non arrivano.